Torre di Riccia

Deputato primo Parlamento dell’Italia Unita

Manifestò dissenso nei confronti del Governo Borbonico, sostenendo l’amore per la libertà e la patria anche a costo di persecuzioni e addirittura del carcere. Queste sue virtù lo destinarono all’importante carica di deputato al primo Parlamento dell’Italia unita, distinguendosi per la sua partecipazione attiva ai lavori parlamentari.

Pietro Moffa

Pietro Moffa nacque a Riccia il 7 dicembre del 1804 da Antonio Moffa e Domenica Cima. Iniziò i suoi studi dapprima a Benevento, poi a Campobasso e per ultimo a Napoli dove conseguì la laurea in Giurisprudenza. Tornato nel paese natio per occuparsi del cospicuo patrimonio familiare, si dedicò all’avvocatura e allo studio di discipline economiche e speculative le quali rappresentarono per lui la base di quei principi morali e civili che lo contraddistinsero.
La sua rettitudine, la sua integrità e il suo intuito sicuro, riconosciuti anche da coloro che non approvavano in pieno le sue idee liberali, lo portarono a ricoprire diverse cariche municipali, tra cui quella di sindaco nel biennio 1847-1849. Manifestò dissenso nei confronti del Governo Borbonico, sostenendo l’amore per la libertà e la patria anche a costo di persecuzioni e addirittura del carcere. Queste sue virtù lo destinarono all’importante carica di deputato al primo Parlamento dell’Italia unita, distinguendosi per la sua partecipazione attiva ai lavori parlamentari.
Con le elezioni del novembre 1874, la sua carriera politica si concluse definitivamente e il Moffa rientrò a Riccia dove tornò ad occuparsi non solo dei beni familiari ma anche delle scienze filosofiche verso le quali aveva sempre nutrito un profondo interesse. Relativa a questo argomento fu la pubblicazione, nel 1869, della vivace “polemica” avuta con il matematico e filosofo Don Felice Mola d’Orsogna, il quale aveva formulata delle tesi sull’Ontologia, Psicologia, Logica, Etica e Diritto, alle quali il Moffa aveva contrapposto delle note critiche per contraddire i pronunciati del Mola.
La sua professione di avvocato lo portò a sostenere la causa intentata dai suoi conterranei contro il Comune di Riccia perché consapevoli del fatto che seppur avvenuta l’abolizione della feudalità, non ne avevano ricevuto alcun vantaggio, in quanto ancora sottoposti al pagamento di un canone su dei terreni; a questo proposito il Moffa, pubblicò, nel 1872, una Lettera diretta all’avv. Carlo Sacchi, nella quale sosteneva le ragioni dei ricorrenti contro le pretese del Comune. Due anni prima della morte, avvenuta nel giugno del 1880 a causa di una malattia cardiaca, Pietro Moffa diede alle stampe il suo pensiero relativo alla discussa questione della divisione tra Chiesa e Stato.